Il diritto legittimo alla televisione

Sulla carta dei diritti di una madre (che un giorno, promesso, stilerò), il punto numero 5 recita: “Ogni madre ha il dovere morale di educare il figlio e il diritto legittimo di insegnargli a guardare la televisione.”

Con Patrick fu difficile, ai limiti dell’estenuante.
Forse perché era il primo figlio, e stare davanti a uno scatolone che emetteva immagini e suoni non gli dava alcun brivido, dacché tale godimento non poteva esser condiviso. La buona tata intima che la giusta mezz’ora di tv va guardata insieme al bambino, in modo da fare una cosa insieme, educativa, e di qualità. La buona tata, mi sa, un figlio non ce l’ha: la tv serve a potermi allontanare, se devo incollarmi anche lì, non ha evidentemente ragion d’essere.

Abbiamo cominciato per gradi, in piccolo, dallo schermo del pc in cucina, così intanto non era solo, ma mi vedeva volteggiare ora con due panni da lavare, ora con un grissino di cui offrirgli la metà (cibo + video = maggior garanzia di successo), ora con una sorella al grembo ancora troppo giovane per apprestarsi alla tecnologia.
Non gli piacevano i cartoni, gli mettevo qualche video su YouTube, gatti che fanno cose sceme, saltano giù dai davanzali, si schiantano al suolo, cadono in cestini della spazzatura. Lui rideva. Poi si appassionò a un filmetto sugli squali, da vero, piccolo ometto. Finché, con molta pazienza, riuscii ad avvicinarlo ai cartoni animati.
E furono i Teletubbies.
Da lì, lo shift pc-tv fu finalmente semplice.

Sarah, come secondogenita vuole, fu decisamente più rapida. Nel senso che si accoda senza andar per il sottile ai Teletubbies del fratello. Che la pace sia con voi.
E insieme dirottarono, in breve, verso la prevedibile Peppa.

Alla terza figliola ho ormai perfezionato l’arte dell’iniziazione e della persuasione – fratelli coadiuvanti – , e posso ritenermi soddisfatta dei cinque minuti che riesco a guadagnarmi.

Simultaneamente, dal suo canto, anche la natura pare essersi evoluta, e mi restituisce, con mia ridente sorpresa, una piccola dotata di evidenti poteri televisivi extra sensoriali.
Non vedo come altrimenti interpretare ciò cui ho assistito negli ultimi due giorni.

Facciamo una lunga passeggiata, torniamo che è ora di pranzo, varchiamo la porta, la scendo dal passeggino.
E Isabelle reclama: “Asha” (Masha), il tono a metà con l’esclamazione.
Un’occhiata all’ora: 13.40. Ma tu guarda che culo: è proprio l’ora che comincia. Lo so perché i fratelli lo guardavano in vacanza.

Stamattina mi rimbalza un po’ noiosa: tetta-gioco dei chiodini-libro, un flipper apparentemente senza sosta. Poi, attratta da forze irresistibili, va in salotto e si siede nella sua poltroncina: “Asha!”
Oddio, ti è andata bene ieri, amore mio, ma questo è sfidare la sorte.
“Non c’è Masha adesso, amore.”
Mi porge il telecomando.
“E poi è pure il telecomando sbagliato. Ma comunque non c’è Masha, amore.”
(E come fai a non prendere il telecomando che ti porge con cotanta dolcezza fiduciosa negli occhi?)

Accendo: “Vedi? Non c’è.” (Rai1)
“No no no!” protesta.
“E certo no no no: te l’ho detto che non c’era.”
Come faccio a spiegarti che non c’è?
Metto rai yoyo, e in quel momento preciso parte la sigla.

Ma che, ti hanno impiantato un microchip sottocutaneo col palinsesto?

Che devo dire (ridendo in preda a un’incredulità che poco dona al mio viso stanco)?
“Informiamo i gentili genitori della piccola Isabelle che la programmazione è avvenuta con successo”.

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