Autismo: da oggi la diagnosi precoce si fa a 6 mesi

Tutti sappiamo come in qualsiasi patologia una diagnosi precoce è fondamentale per affrontare e programmare un quadro terapeutico che sia efficace.  E in particolare lo è nell’autismo, dove prima si interviene meglio è. Ma da oggi, grazie ai risultati di una  ricerca pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine, è possibile già a sei mesi fare una diagnosi di autismo. Un approccio che rivoluziona il modo di diagnosticare l’autismo, finora solo indagato a livello comportamentale riguardo la compromissione dell’interazione sociale, della comunicazione verbale e non, degli interessi e dell’attività del bambino.

Le connessioni neurali coinvolte nell’autismo

I ricercatori hanno compiuto uno studio su 59 bambini ed è emerso che i bambini con fratelli maggiori a cui avevano già fatto una diagnosi di autismo, avevano più probabilità di svilupparlo. Per arrivare a tale tesi di familiarità della malattia, i ricercatori hanno studiato a fondo le connessioni neurali con la risonanza, indagando le aree del linguaggio e della socialità. Non dimentichiamo, infatti, che lo spettro autistico può avere diverse manifestazioni e a volte presentarsi in modo del tutto inusuale.

Aiutare quanto prima il bambino autistico

I ricercatori ritengono che se si riesce a intervenire con gli esami giusti prima che compaiano i sintomi, più si è in grado di aiutare i bambini e la famiglia a ricevere le cure giuste. Intervenire quando alcuni processi di sviluppo possono ancora essere modificati è fondamentale.
Le diagnosi oggi vengono fatte ancora troppo tardi perché alcuni sintomi del disturbo autistico vengono sottovalutati o mal interpretati. La maggior parte delle diagnosi viene fatta intorno ai quattro anni, a volte anche più tardi. Spesso i primi a rendersene conto sono i genitori, ma i sintomi non sempre sono chiari e definiti. Servono dunque specialisti attenti che sappiano intervenire in un quadro di sviluppo in cui inserire questi ulteriori elementi di classificazione che vengono fuori da questi studi recenti.

9 commenti

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  1. Allora evita proprio di utilizzarlo per fare dell’ironia…perché oltre a non risultare simpatica sei anche offensiva nei confronti di tutte quelle famiglie che lo vivono ogni giorno.la storia dello zio poi…facevi più bella figura a cancellare la battuta davvero di poco gusto.

  2. Il commento non era per far del ironia sul problema . Il Manu che è stato citato è mio marito ( che tra l altro avevo tag perché l articolo è interessante visto che abbiamo una bimba di sei mesi) e non un ragazzo affetto da autismo . Sia io che Marcella Marchi abbiamo avuto uno zio affetto da poliomielite . Io stessa ho lavorato con dei bambini con problemi di autismo ,quindi si e conosco bene cos’è e cosa comporta. Se ti sei offesa mi dispiace , ma credimi non era per far del ironia sul problema

  3. Giorgia Dotto scusa se ti sei offesa, ma era x ridere un po’, anche perché sia io che jassica abbiamo avuto uno zio molto caro, con un grosso problema di handicap, e non era di sicuro mia intenzione offendere qlc che oltretutto non conosco