Quando i giochi diventano irrinunciabili

Siamo partiti. Ci fu un tempo nel quale mamma e papà riempivano le borse del necessario per i pargoli.

Ma adesso, cresciuti, stimolarli all’indipendenza invitandoli a preparare i loro giochi da soli pare pedagogically correct, nonché tecnicamente smart: «Quello che fanno da sé, non devi farlo te», recita una rima autoprodotta. Falsa come Giuda.

Perché di fatto quando i bambini scelgono i giochi da portare in vacanza sono non solo annebbiati da un contagioso entusiasmo, ma decisamente poco realistici.

A voi le 6 situazioni-chiave nelle quali certi giocattoli diventano improvvisamente irrinunciabili, o almeno francamente interessanti. E battagliare con loro sarà quasi inevitabile.

  • Quando si parte

Appunto. Lanci l’appello al figlio, dai tira fuori i giochi che vuoi portare via. Dopo dieci minuti fai per tornare in stanza. Nell’ordine noti: una diga che occlude l’ingresso, un letto saccheggiato dai pupazzi, il figlio a metà tra l’orgoglio e l’attrazione fatale per cimeli di cui aveva dimenticato l’esistenza.

Tipo: il libro dei dinosauri di peso netto 900 grammi. Isa ma non lo leggi mai… Ma sì invece. Ma no, ti dico. Ma io lo voglio portare. Oppure: il gioco di società che non si è mai filata di striscio, la bambola ricevuta in regalo e di cui disse espressamente: «Non mi piace, fa schifo». Ti trovi a contrattare e pensi ma in fondo cambiando ambiente forse le è venuta voglia anche di cambiare giochi, ci sta. Invece: riempirai irrimediabilmente una sacca di cose che estrarrà solo un pomeriggio, dicendo «non ho voglia di giocare a nessuno di questi giochi».

  • Quando li butti o decidi di regalarli

C’è quel gattino di dubbio gusto col pelo rosa tigrato, tua figlia ha sorriso una sola volta, hai pensato non posso farlo fuori subito, i pupazzi sono come gli ortaggi: anche se hai una partita cattiva ti fa sempre pena gettarli al macero, quindi aspetti quel piccolo tempo che valga a creare indomito fastidio. Nel caso degli ortaggi: la loro decomposizione. Nel caso dei pupazzi: quando ne hai piene le palle di risistemarli senza che alcuno dei figli li abbia mai cagati. Li sposti quando spolveri, li risposti quando fai ordine, li chiudi in qualche mobile tra le cose poco usate.

E infine un giorno fai il salto quantico: ciao. Ma è lì, esattamente lì, che il figlio ti beccherà. E se per caso nel mentre fosse al cesso o a scuola, sappi che sgamerà quel pelo rosa tigrato tra i rifiuti. Quello che segue, è esperienza di tutte.

  • All’Ikea

I miei, l’area giochi sorvegliata all’ingresso (insomma quella dove potresti lasciarli mentre fate i fidanzatini per il grande magazzino), non l’hanno mai vista. Preferiscono posare per foto improbabili su un sofà che «guarda, mamma, come il nostro!», aprire e chiudere tutti i mobili delle cucine come non avessero mai visto un cassetto o un’antina, e provare ogni letto le cui lenzuola – ça va sans dire – sono come le loro. E, naturalmente, giocare con la cucinetta.

Ecco, la cucinetta dell’Ikea deve avere dentro una specie di magnete ipnotico, perché non c’è ragione che quella, proprio quella, sia così irresistibile, quando a casa la sua versione più avanzata e chic, è appannaggio unico dell’aspirapolvere, quando hai voglia di passarti i ripiani uno a uno.

  • Quando sono degli altri

Questa la so, questa la so! C’è un antropologo francese che ha parlato di desiderio mimetico: ebbene, tendiamo sempre a imitare gli altri, perciò a invidiare ciò che loro hanno.

Della serie: non me ne frega niente se mio fratello ha una palla identica alla mia, grande uguale, e dello stesso colore: la sua è più lucida. In fondo: l’erba del vicino è sempre più verde.

  • Quando devono smettere

Quando li chiami a tavola, quando dovete uscire, quando è ora di andare a letto. Bisognerebbe fare un tracciato cerebrale, perché sono certa che esista una spiegazione vera, fisica, all’impennata di interesse per quel dato gioco proprio quando la mamma chiama.

Che non è una scusa, perché non è mica che il bambino estrae il Lego mentre gli dici adesso si va a letto. No: il tempo che gli prepari lo spazzolino, o chiudi Facebook, o azioni la lavapiatti, e quando vai di là lo trovi che ha costruito la Torre Eiffel. Che a quel punto – giuro – non sai come dirglielo: «Ehm, amore… è bellissima ma… eh… Insomma adesso devi andare a letto: la finirai domani».

  • Quando giochi con loro

Questo è nozione base della maternità. Dovremo aspettare la terrificante adolescenza per arrivare all’infausto giro di boa.

Allora si chiuderanno porte, la mamma supplicante, di qua: «.. ti va di fare una cosa con me?» Quello che, la musica ululante nelle orecchie, nemmeno ribatte.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *