Tecniche di induzione al parto

L’induzione al parto è una pratica temuta da molte donne in procinto di partorire.

Coloro che l’hanno sperimentata raccontano di un’esperienza molto più dolorosa rispetto al parto naturale, per via dei farmaci somministrati per provocare il travaglio.

I dati statistici indicano che un elevato numero di parti indotti si risolve con un taglio cesareo.

Quando il parto indotto è necessario e quali sono i rischi

L’opinione diffusa, suffragata dalle evidenze, è che ci sia una crescita non giustificata dell’adozione di questa tecnica che, è importante ricordarlo, non è immune da possibili rischi e complicanze.

Prima di esaminare le diverse metodologie che possono essere adottate, è importante chiarire quando sia effettivamente necessario ricorrere all’induzione al parto.

Di seguito sono elencati i tre casi principali in cui, in conformità alle linee guida redatte dalla SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), il ricorso all’induzione è giustificato:

  • Gravidanza protratta oltre la 41a settimana. Considerando che la gestazione non dovrebbe prolungarsi oltre le 42 settimane, si suggerisce di praticare l’induzione a partire dalla 41a settimana + 3 giorni (o 41 + 5), come avviene di solito negli ospedali italiani.
  • Scarso contenuto di liquido amniotico dopo la 37esima settimana. Una volta raggiunto il termine di una normale gravidanza (40 settimane), vengono effettuati dei controlli per verificare lo stato di salute del feto, tra cui cardiotografia, ecografia e flussimetria. Nel caso in cui l’ecografia rilevi una significativa carenza di liquido amniotico, non c’è altra soluzione che procedere al parto indotto per prevenire eventuali problemi al feto.
  • Rottura precoce delle acque. Se la rottura delle membrane si verifica prima del previsto, si auspica l’insorgenza spontanea del travaglio entro 24 ore, trascorse le quali si induce il parto per evitare rischi per il bambino.

Esistono dei casi in cui provocare il parto è consigliabile, ma non sempre è necessario farlo.

Questi includono la ridotta presenza di liquido amniotico verso la fine della gravidanza, problematiche relative alla salute della madre o del feto, come un ritardo nella crescita fetale, preeclampsia, diabete.

Tra le situazioni in cui l’induzione al parto è categoricamente controindicata rientrano il travaglio in corso, l’eccessiva contrattilità uterina, la placenta previa, il feto in posizione podalica.

Induzione del travaglio di parto: procedure disponibili

La scelta del tipo di tecnica di induzione da praticare dipende dalle condizioni locali riscontrate durante la visita ostetrica.

Ogni procedura, sia essa meccanica o farmacologica, è caratterizzata da passaggi distinti.

Scollamento delle membrane

Si tratta della separazione manuale del sacco amniotico dalla superficie interna della cervice senza romperlo. Pur essendo una procedura piuttosto fastidiosa, in alcune circostanze può rivelarsi molto utile per stimolare le contrazioni laddove il travaglio proceda a rilento. Non è necessario il ricovero per questa tecnica.

Catetere di Foley

Questo metodo prevede l’inserimento di un catetere nel canale cervicale, seguito dal gonfiaggio di un palloncino mediante soluzione fisiologica per stimolare la produzione di prostaglandine naturali e preparare il collo dell’utero al parto.

La procedura è generalmente non dolorosa ma può risultare un po’ fastidiosa per la paziente. La rimozione del catetere avviene dopo 24 ore.

Tecniche farmacologiche per l’induzione del parto

  • Dispositivo intra-vaginale a rilascio controllato: inserito nella vagina, rilascia gradualmente prostaglandine per un periodo di 24 ore o fino al verificarsi del travaglio. Ha il vantaggio di poter essere tolto e reinserito in base alle esigenze.
  • Misoprostolo: è un analogo sintetico della prostaglandina E1 che si assume per via orale in bustine da 25 mcg ogni tre ore per un massimo di 8 volte.
  • Gel vaginale: si somministra nel fornice vaginale posteriore ogni 6 ore, per un massimo di 4 volte.

Amnioressi

Per indurre il travaglio spesso si ricorre all’amnioressi, una procedura non dolorosa che prevede la rottura artificiale delle acque mediante l’inserimento di una pinza a forma di uncinetto. Questa tecnica è generalmente ben tollerata dalla paziente e risulta efficace nella maggior parte dei casi, ma se il travaglio non inizia entro 2-4 ore, viene somministrata ossitocina.

Ossitocina

Infine, quando il collo dell’utero è già parzialmente dilatato e assottigliato, la soluzione più efficace per indurre il parto consiste nella somministrazione per via endovenosa di un analogo sintetico dell’ossitocina, un ormone che ha il compito di stimolare le contrazioni uterine.

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