Sono una madre. Stanca, svuotata. Come tante.

Come ti senti?

Mi sento svuotata. Mi sento una busta stropicciata, come fosse stata messa in tasca e in fondo alla borsa, poi maneggiata, usata, bagnata dalla pioggia, strappata alla base, e poi usata ancora. Mi sento come una busta di carta, di quelle che ti davano, un tempo, per prendere la spesa, ma vuota.

E’ un periodo, vedrai che passa.

E’ mio compito di madre, dirlo, crederci, trasferire questo messaggio positivo ai miei figli, lo so. Ma no. Non chiedermi di crederci, perché non ce la faccio più. Voglio mollare la presa. Non voglio allungare la mano, sperando di afferrare un supporto saldo, sicuro, un’ancora. Perché lo so che si tratta solo di un palloncino ad elio. Mi porta su, mi fa sperare in meglio, nell’importanza del mio sforzo, del mio impegno, nell’avere fiducia, improvvisamente, poi, si buca e mi fa cadere dall’alto.

Sei abbattuta, lo so. Lo capisco, lo siamo tutti.

Davvero? Lo siamo tutti? Siamo tutti nella stessa situazione? No. Io non credo più neanche a questo. Nel 2020, di questi tempi, dicevo che la pandemia, il forzato lockdown, la clausura forzata e dovuta, fosse una livella. Aveva portato tutti noi a vivere nella stessa condizione, a combattere con gli stessi problemi, a risolverci, per andare avanti, impegnandoci tutti nello stesso modo.
Scrivevo questo, e mi sbagliavo.
C’è chi ha fatto il furbo, chi è stato largo di maniche, prendendo le regole a modo proprio: chi ha portato i propri figli dai nonni, quando non si poteva; chi portava i bambini al parco, quando non si poteva; chi a giocare a casa di amici, quando non era raccomandabile; e potrei continuare all’infinito.
E poi ci sono gli altri. Quelli che, in modo maniacale, monacale, hanno fatti tutto quello che dovevano fare, vivendo sempre in apnea. Per loro, non è mai cambiato nulla.
No, non siamo tutti nella stessa situazione. C’ è chi, dopo tutto questo, non vede nonni e genitori da un anno o da mesi, e chi li vede ogni giorno, magari anche solo dal un balcone. C’è chi li ha persi, senza un saluto, una stretta di mano. Senza dignità.

Ma pensa che puoi stare a casa con i figli, te li puoi godere un po’. Ma che li avete messi al mondo a fare, se non volevate starci!?!

Vedi? Te l’ho detto: non siamo tutti nella stessa barca, altrimenti, queste frasi non si avrebbe la spudoratezza di pronunciarle. E chi non li ama i propri figli? Chi, mi domando, non è stato grato, soprattutto l’anno scorso, di vederli sempre, di giocarci sempre, di viverli sempre!
Ma non siamo tate, insegnanti, maestre d’asilo, pedagogiste.
Siamo madri, purtroppo, con un lavoro che ci è stato strappato. Uno che ci è stato negato. Uno che …quanti anni hanno i suoi figli? Ah, ok, ci risentiamo. Uno che facciamo, tentiamo, durante il pannolino da cambiare, il capriccio perpetuo, il nervosismo comprensibile, le lacrime per un virus di cui non hanno colpa. Madri che urlano, non perché non hanno pazienza, o non sono grate, ma perché non ce la fanno più.

Ma la scuola è un vettore. Lì si mischia…

Lascia stare. Il virus passerà. E’ certo, prima o poi ci lascerà andare. Ma ci ritroveremo più poveri e non parlo di economia. Prima che quella, avrà impoverito il nostro equilibrio, le nostre certezze, la nostra educazione, la nostra cultura, il bello della speranza. Il rispetto delle regole. Quelle a cui, se ne avevi fatto un mantra, un dogma, ora hai perso ogni rispetto per le istituzioni.

Come ti senti?

Come una madre, un padre, a cui, ogni giorno, tolgono un pezzettino di felicità, di serenità. Uno che vorrebbe andare a vivere in un altro pianeta. Uno nel quale i bambini li trattano da esseri umani. Non come un peso. Non come l’ultima ruota del carro. L’argomento che non è all’ordine del giorno. MAI.