Memoria e ricordi di infanzia: uno studio svela che spesso sono in parte falsi

A tutti capita di rievocare un ricordo di infanzia e di provare a datarlo nel tempo: eppure, secondo uno studio realizzato nel Regno Unito, il 40% di queste reminiscenze sarebbero parzialmente false o quantomeno il “residuato” di un mix di emozioni, sensazioni e altri stimoli esterni.

Ricordi e infanzia, un rapporto ambiguo

Spesso quelli che sono chiamati ricordi di infanzia vengono rievocati in modo disincantato e per riportare alla memoria un periodo della nostra vita a cui, nella maggioranza dei casi, si pensa con piacere. Tuttavia, una ricerca condotta nel Regno Unito e pubblicata sulla rivista “Psychological Science” spiega come, per almeno quattro persone su dieci, quei ricordi non facciano riferimento a esperienze realmente vissute ma siano in parte influenzati da altri fattori che li alterano.

L’indagine è stata realizzata da alcuni atenei britannici, raccogliendo i racconti e le testimonianze di migliaia di persone a proposito dei loro primi anni di vita ed è emerso che alla formazione di alcuni ricordi contribuiscano anche le sensazioni presenti, i racconti famigliari oltre ad eventi davvero accaduti.

Inoltre, un altro punto interessante emerso dallo studio è che la maggior parte dei soggetti intervistati afferma di avere ricordi dei primi due anni di vita nonostante alcune ricerche abbiano dimostrato che le prime reminiscenze si fissino nel cervello solo dopo il terzo anno.

Un mosaico di frammenti

Incuriositi da questa strana discrepanza evidenziata nelle prime fasi dell’indagine, i ricercatori sono andati più a fondo: in pratica, è stato chiesto di scavare nella memoria alla ricerca del “primo ricordo assoluto” ma senza fare riferimento a fotografie o a episodi che erano stati raccontati dai genitori. Il risultato è stato che tutti i ricordi afferenti ai primi due anni di vita erano il risultato di un mosaico di frammenti mnemonici diversi, dove su una immagine reale l’intervistato innestava informazioni ricavate da racconti, immagini e sensazioni avute solo successivamente.

Insomma, l’episodio di cui il soggetto si ritrovava a parlare non era certamente falso, ma non si riferiva nemmeno a nessun fatto realmente vissuto: “Bisogna attendere almeno i 5-6 anni affinché i nostri sistemi che consentono di ricordare le esperienze si consolidino e inizino anche a guardare il mondo da una prospettiva adulta” ha spiegato una delle ricercatrici a proposito dei sorprendenti risultati.

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