Io non lo so, a che età puoi cominciare a dirlo, o almeno a provarci: “Scusa amore, mamma oggi è un po’ nervosa.

Magari meglio dire che sei stanca.

Magari nessuna delle due cose. Oppure tutte e due: un figlio è infinite possibilità, in bilico tra insegnargli la vita e proteggerlo.

La verità è che a un bambino non frega niente, che hai avuto una giornata di merda. Quando ritorni ti zampilla addosso. Non gli frega niente che la tua amica non ti ha richiamata. E tu ne avevi un bisogno folle. Avevi già pensato a tutto, come raccontarle di quell’annuncio di lavoro, come sfogare con lei le crisi col marito. Che poi ci fai due lacrime e un sorriso, e sembra tutto di nuovo possibile.

Ti cercherà per giocare e si aspetterà il tuo sì.

A un bambino non interessa che non hai dormito.

Stanotte è stata peggiore delle altre. Ed è stato proprio lui. Eppure a lui non importa, per lui non conta. Al risveglio inneggia al tuo arrivo in tutti i modi che gli riescono: un gorgheggio, da-da, ma-ma. Un bacio. A mollo in un sorriso.

A un bambino non importa se sei malata, se respiri a fatica, se la pancia col suo fratellino ti pesa un botto. Se sei un barile.

Se oggi voleresti via con uno starnuto di vento, ché mai ti sei sentita più fragile. Se stamattina allo specchio hai pensato “non ci riesco”.

A fare la mamma perfetta, a lavorare bene, a essere dove dovevi, a esserci tutta intera.

Farà uno scarabocchio su un foglio e ti dirà “mamma sei tu”, col dito indicherà dei pallini rossi: “Que-to è il cuore”. Comunque tu sia stata, di qualunque umore, in qualsiasi modo.

A tua figlia non frega niente se hai rigato la macchina, non conosce i soldi che finiscono prima del mese, non sa i tuoi conteggi la sera, né le volte che lei finalmente dormiva e tu restavi sveglia in qualche paura.

Per lei, per te, per qualcuno che vive nella tua vita, nella cerchia più interna degli affetti.

Avrà lo stesso, identico bisogno di te. Forse perfino di più, quando senza farlo apposta le sfuggi, quando ti stendi sul divano e vorresti solo silenzio. Quando ti accorgi, troppo tardi, di averle risposto: “No, non posso giocare con te adesso, non ho voglia, scusa, vengo dopo.

Perché ti è scappata una sincerità sbagliata.

Per quanto ti spieghi, e ti scusi per i tuoi malumori, per le difficoltà dei “grandi”, i bambini arrivano dove riescono: mia figlia mi riempie di baci, quando vede che sorrido meno. Più in là non possono, non devono: restano nel loro mondo. Nei loro diritti.

E forse è proprio questo il bello: arrenderci.

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