Tu vivi la maternità in modo molto intenso

Perché? Esiste altro modo di scavalcare un cuore umano per fare posto ad un altro?

“Tu vivi la maternità in modo molto intenso.”

Non è la prima volta che me lo dicono. Non me ne abbia chi ha pronunciato queste parole, non so se sia un complimento, suona quasi come un monito. Uno è stato un uomo, che è anche padre. Una è una donna che ancora non ha figli. Non mi è mai capitato che me lo dicesse una madre.

A loro, e alle madri – semmai ce ne fossero – che dovessero farmi la stessa osservazione vorrei dire: perché? Esiste altro modo di scavalcare un cuore umano per fare posto ad un altro?

Esiste un altro modo per far crescere dentro di sé il desiderio, prima, e poi l’attesa, e poi le mani che tengono un pennino sotto un flusso di pipì, e poi contano: uno, due, tre minuti, e vogliono e temono, perché il desiderio è così grande da sentirsi piccole, sommerse, tutte condensate in quel gesto?

Sarebbe come a dire che si può “amare meno”. Sarebbe come a dire che puoi darti a metà, misurarti, dosarti.

Misuro le reazioni, contengo certe frustrazioni, quelle dure delle notti insonni, quelle dell’ennesimo malanno. Le volte che mi è sembrato o mi sembra di non contare più niente, in questo primato che il figlio si prende, perché è la natura a darglielo, perché così è la Vita.

Non misuro il sentimento. Non c’è scelta. Non io vivo “intensamente”, ma è la maternità stessa a essere intensa.

Cambia il tuo corpo, prima, e tu impari: a fare spazio. Cambia il tuo tempo e tu impari: a dare tempo. Cambiano le stanze, gli oggetti, i desideri. I rapporti, il tuo stare nel mondo. Il tuo essere tu.

Incontri tuo figlio per la prima volta, tocchi la sua pelle sottile, i suoi capelli fragili, ha gli occhi ancora chiusi, e tu guardi per lui. Lo tieni su di te, la natura ti rende indispensabile e in un secondo, non sai come, è lui ad essere indispensabile per te.

Tu lo nutri, lo vesti, lo culli. Non ti dà altro in cambio se non il suo esistere. Poi affaccia i primi sorrisi, allunga le mani verso di te, ti cerca, si volta quando parli. E il concerto comincia.

Sarai lì quando si addormenta, sarai lì quando si sveglia. Quando si gira per la prima volta a pancia sotto, quando riconosce il carillon che suoni per lui. E poi: la prima volta che si tira su in piedi aggrappato alle tue gambe, che gattona seguendo i tuoi zoccoli per casa, le tue faccende la sera, e cerca il grembo per assaporarsi lo spettacolo di una lavatrice che gira. Non avevi mai guardato una lavatrice che gira: con lui lo fai.

Non hai mai visto che si può giocare per un quarto d’ora con un po’ di pasta cruda: con lui lo fai. Che si possono fare le stesse strade di sempre e che con lui sono sempre uguali e sempre diverse, che col tempo le riconosce e quando parlerà ti dirà “mamma voglio andare di qua”, perché sa che “di qua” c’è il parco. O il panettiere dove avete creato, con altri mille riti e milioni di gesti, anche il vizio delle focaccine da prendervi a metà pomeriggio.

Non hai mai saputo cosa vuol dire preoccuparsi, osservare, sentire che dentro qualcuno ti ha sbaragliata e poi ricostruita e tu ti sei lasciata fare. E ti piace. Accade.

E non so in quale altro modo tutto questo può succedere se non così: intensamente.

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