Un prototipo di utero artificiale per risolvere il problema delle nascite pre-termine

Un gruppo di ricercatori olandesi sta mettendo a punto il primo prototipo di utero artificiale. A finanziare il progetto, nuovo ed unico nel suo genere, è il programma Ue Horizon 2020, che ha investito ben tre milioni di euro per portare a casa un risultato che fino a qualche tempo fa sarebbe parso irraggiungibile: ricreare alla perfezione l’atmosfera dell’utero materno, inclusi i suoi odori, gli stimoli visivi ed i rumori, nonché le condizioni biologiche.

Una soluzione per la prematurità

Prima di capire meglio di cosa si tratti, è fondamentale sgomberare il campo da ogni possibile dubbio e chiarire subito che l’utero artificiale non ha nulla a che vedere né con la maternità surrogata e né con la fecondazione eterologa. Si tratta di una ricerca che va in una direzione completamente diversa, il cui fine ultimo è quello di risolvere le problematiche legate alle gravidanze pre-termine: l’utero artificiale potrebbe essere utilizzato per tenere al sicuro i bambini nati prematuri ed evitare che sviluppino delle disabilità a causa di una gravidanza che non si è conclusa correttamente.

Il dispositivo che si sta cercando di mettere a punto in Olanda dovrebbe infatti essere in grado di riprodurre le medesime condizioni biologiche del ventre materno, inclusi il battito cardiaco ed il liquido amniotico di cui ogni neonato ha bisogno per potersi sviluppare del tutto. E se questo progetto ha dell’incredibile, soprattutto se si considera che potrebbe rappresentare una validissima soluzione a tante patologie causate dalla prematurità, le perplessità che ruotano attorno ad esse non sono poche. In molti temono che alla lunga, qualora dovesse funzionare, possa diventare un’alternativa alla gravidanza naturale.

Il che di per sé non sarebbe un problema, se non fosse però che questa cosa potrebbe intaccare quello che è considerato il legame per antonomasia: quello, cioè, che unisce la gestante al suo bambino. Potrà davvero un neonato svilupparsi all’interno di un dispositivo artificiale? Saranno i ricercatori olandesi, nel giro dei prossimi cinque anni, a stabilirlo.