Le mamme aspettano

Mamma giochi con me?

Ti siedi, lei traffica, azzardi una mossa, “no mamma aspetta.” Ne provi un’altra: “No, questo devo farlo io.”

E in un attimo capisci l’attesa.

Capisci che la gestazione già la chiamavano attesa perché per qualche assurda ragione una madre corre sempre eppure – sempre – attende.

Aspettavi quando la pancia non ne voleva sapere di crescere e poi anche se era autunno inoltrato, nei primi rigagnoli di rugiada ti spingevi col giacchino aperto, ché qualcuno ti facesse almeno il garbo d’una domanda: “Ma dai, sei in dolce attesa?” Ma niente: tu aspettavi.

Aspettavi l’ecografia col cuore che batte, e poi quella dopo perché quel piccolo tamburo lontano e vicino ti aveva già catturata. Hai aspettato di conoscere il sesso, non era quello che volevi, dici va bene tutto, magari non è vero, ma festeggi uguale. E aspetti il Grande Giorno.

La vita di una mamma è un’attesa dopo l’altra.

Che si attacchi bene, che si addormenti. Che si riaddormenti la notte, che succhi al mattino. Le più brave imparano a smettere la fretta di bruciare le tappe, la gara ai parchi, “ma il mio sa già fare il salto con l’asta, i cento metri, il lancio del disco.” Ma resta sempre la naturale evoluzione della specie, a infliggere altra penosa pazienza al nostro orologio biologico.

Quando il piccolo mostra segni di interesse per un paio di braghe, tanto per dire, la buona mamma, fedele seguace della Montessori, lascerà che egli sperimenti, e dopo due giorni di ritardi innominabili al nido, imparerà a puntare la sveglia venti minuti prima, pur di lasciare al figlio la libertà di crescere. Osserverà con altrettanta stupita beatitudine la prima soffiata di naso, la prima volta che lava le mani da sé, la prima cacca nel vasino.

Incoraggerà il pasto, la presa salda di un cucchiaino di plastica infrangibile, il pianto matto per un NO con orecchi non altrettanto infrangibili. Negozierà un pupazzo che “solo se fai il bravo Babbo Natale te lo porterà”, stilerà una lettera infinita e infinite saranno le soste per gli acquisti.

Siederà a leggere la sera, dopo efferati “dai, finisci la tua cena”, dopo che il quinto cartone si è estinto, di due che gli avevi promesso. E lo aiuterà, dente dopo dente, nell’attenta pulizia con lo spazzolino dei Pj Masks.

E come accadrà tutto questo? Aspettando.

È la natura stessa della maternità, la parabola lenta delle notti, le corse per recuperare il giorno. Quell’ora che adesso siedo qui e mi verrebbe da fare qualcosa in parallelo. Mentre mia figlia muove donnine del Lego Friends e prepara menu in un ristorante dove anche le sue dita paiono enormi. Correggendo ogni mia mossa, ogni mia urgenza, per fare a modo suo.

Perché è la nostra attesa, che salva i figli: dalle nostre aspettative.