Kiev: bambini nati da maternità surrogata lasciati in hotel in attesa dei genitori

A Kiev decine di bambini, nati dalle cosiddette maternità surrogate, non hanno potuto raggiungere le loro famiglie a causa dell’ermergenza Covid, e per tale motivo sono stati “parcheggiati” per giorni in un albergo della capitale ucraina.

Quello della maternità surrogata è un tema molto delicato che da anni divide l’opinione pubblica, tra coloro che additano questa pratica come un abominio e chi invece considera, quella dell’utero in affitto, un’esperienza paragonabile al trapianto di organi.

Il caso dei neonati senza una famiglia a Kiev

Hanno fatto il giro del web e del mondo le foto di decine di piccole culle con dentro altrettanti neonati – assistiti temporaneamente dal personale ostetrico ucraino – che, a causa del lock down imposto in seguito all’emergenza Coronavirus, sono stati ospitati in un albero di Kiev dopo essere stati partoriti dalle loro madri surrogate.

Questo evento ha fatto indignare numerose persone e le associazioni che si battono per i diritti dei bambini, che hanno fatto sentire la loro voce additando questo fenomeno come una pratica che annulla la dignità dei più piccoli.

In Ucraina la maternità surrogata è ammessa dalla legge, infatti è stata creata una clinica (la BioTexCom) che si occupa esclusivamente di mettere in contatto le persone che desiderano un bebè con le donne disposte ad affrontare una gravidanza, sapendo di dover consegnare il neonato ai committenti.

In questo modo sono venuti al mondo i bambini che si vedono nelle immagini che però, a causa della pandemia, non hanno potuto raggiungere le loro famiglie.

Bambini trattati come merce

Le immagini provenienti dalla Kiev hanno fatto sorgere i soliti dubbi sulla moralità dell’utero in affitto.
Vedere decine e decine di culle in una stanza ad attenere il loro “proprietario” è un’immagine che stride con il concetto di umanità che normalmente accompagna una nascita.

I neonati appaiono come delle merci di scambio, ottenuti con assegni che vanno dai 39 mila ai 65 mila euro, di cui solo l’1% viene incassato dalle donne sfruttate per questo business. Tutto ciò sembra essere una nuova forma di schiavitù nella quale le vittime sono tanto le madri naturali (nella maggior parte dei casi si stratta di donne molto povere che hanno altri figli da sfamare) quanto i bambini che vengono al mondo.

“Vedendo queste immagini ho provato tristezza e tanta amarezza pensando a quello che c’è dietro: sfruttamento, miseria, pretesa di possesso, commercio di esseri umani, cosificazione della vita umana sin dal suo venire all’esistenza, progettazione dei figli come beni di consumo da fabbricare su ordinazione per coppie etero o omosessuali che li commissionano”, dice al Sir Marina Casini, presidente nazionale del Movimento per la vita.

Img: AgenSir