Il box dei bambini: un luogo diabolico?

“Box”: che poi vorrebbe dire “scatola”. Ma anche garage o, perché no, lo si potrebbe chiamare “cantina”: perché, tempo una settimana, ha il potere magico e sovrannaturale di diventare deposito dei più svariati giocattoli e non solo.

C’era una volta un neonato: appena venuto al mondo, minuscolo gomitolo di carne rosata che vede lontano quanto un palmo, avevi paura di lasciarlo incustodito anche solo per un secondo. In ospedale, appena partorito, lo appoggi sul tuo letto, lo guardi, e gli sistemi un cuscino per parte. Perché non cada. Dopo una decina di giorni (o di minuti, se non è il primo figlio), ti avvedi che, miracolo!, non sa muoversi e, pertanto, puoi tranquillamente lasciarlo sul letto a una piazza, sul divano, su un pouf, che non corre alcun rischio.

Tempo qualche mese, riassunto in un groviglio di emozioni densissime ma rapide da non potertene capacitare, una mattina come tante lo scopri girato, spostato da dove e come l’avevi messo mentre eri in bagno per una fugacissima pipì. La volta seguente opti per il pavimento, più sicuro: ché più in basso di lì non può cadere. Gli metti due gingilli che suonano se li tocca, un paio di cuscini e, al solito, ti accingi alla toilette versione “lampo”.

Qualche tempo più tardi neanche questo basta più: striscia, gattona, si spinge? In ogni caso copre metri di pavimento, e stai certa che se vai in bagno lo ritrovi aggrappato alle gambe. O alla tazza, direttamente.

È una piccola, enorme rivoluzione: ti glori dei suoi progressi, decanti i suoi gesti, ma non puoi evitare di ripensare a com’era facile quando bastava raggomitolarlo sul sofà, sprofondarlo nel marsupio, sederlo buono buono nella sdraietta.

Finché la sola, univoca proposta che i più navigati avanzano per soccorrere la tua necessità di minzione, di doccia, o simili, è il box.

Una spesa non proprio piccolissima, per un oggetto che userai pochissimo. (Ma, d’altronde, vogliamo parlare di navicella, culla, sdraietta? Il tempo medio di utilizzo è qualche mese…).

Qualcuna lo rifiuta, lo addita come una gabbia, una punizione. Io, un box, l’ho sempre avuto, per ognuno dei miei 3 figli. Perché considerarlo una gabbia? Anche il lettino, ha le sue sponde. “Ma lì ci dorme!

Pensa allora al trauma di doversi addormentare o di svegliarsi dietro a quelle sbarre.

Qualsiasi luogo e qualsiasi oggetto, per un bebè, sono occasione di esperienza. Finché è ancora piccolo ci può stare volentieri, basta lasciarci dei giochi speciali, esclusivi, che sarà felice di ritrovare. Quando diventa più grande e inizia a camminare, ci starà meno volentieri: ma d’altronde è proprio allora che vuoi un posto sicuro dove poterlo lasciare in caso di necessità.

Altrimenti, sempre tornando alle operazioni di toilette, io mettevo Isabelle nella vasca. Vuota. E lei godeva come una matta.

Poi c’è la questione dell’abitudine: ho scoperto che meno usi il box e meno gli piacerà. Passati sette, dieci giorni senza un minuto di utilizzo, il bebè non sa apprezzare la novità del luogo e proporglielo diventa coercizione.

Ecco, è arrivato il famoso momento in cui il box dà il meglio di sé, espletando appieno la sua funzione: ricettacolo non ben definito di ogni bene non necessario.

Utilizzi successivi del suddetto comprendono: tiro al bersaglio, canestro per lancio cuscini, contenitore di bambole, appoggio stendi panni (sui bordi), tettoia di un parcheggio coperto (quando si gioca a metterci le macchinine sotto). E incredibile risorsa di ritrovamento di oggetti smarriti.

E quindi? Vale la pena?

Mah. Forse basta la vasca (sempre che ne abbiate una). Ma è un po’ vincolante.

La verità è che non è tanto necessario “usarlo”. Ma è utile averlo. Sapere che, in caso di bisogno, puoi mettere il bimbo in un posto sicuro. Serve a stare tranquilla.

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