Bimbi abbandonati e diritto all’anonimato della madre

Neonati abbandonati: la madre resta nell’anonimato

Gli orribili e inaccettabili casi di bambini abbandonati dopo la nascita, di donne che partoriscono da sole e in condizioni disumane nei bagni di casa o nelle toilette dei bagni pubblici portano sempre alla ribalta la questione del diritto all’anonimato della partoriente.
Ai sensi dell’articolo 30, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, la madre ha diritto a chiedere di rimanere anonima nel momento in cui viene fatta la dichiarazione di nascita del bambino.

Secondo l’interpretazione vigente, il diritto all’anonimato della partoriente prevale sul diritto alla vita familiare e affettiva del figlio che, quindi, non può accedere ai dati relativi alla madre biologica, come espressamente indicato dall’art. 28 della legge del 4 maggio 1983, n. 184.

Anonimato e abbandoni di neonati: qualcosa sta cambiando

Tuttavia, le cose non sono così statiche: fino qualche anno fa, il testo della legge 184/1983 che regola le adozioni e gli affidamenti non prevedeva la possibilità di verificare nel tempo la persistenza della volontà materna di conservare l’anonimato e, quindi, secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo questo si traduceva in una palese violazione del diritto alla vita familiare e affettiva del figlio.

Per conformarsi alle direttive europee, quindi, la Corte Costituzionale è intervenuta (sentenza 278 del 2013) a modificare il testo della legge, introducendo la possibilità che il figlio (in forma anonima) chieda alla madre se vuole conservare l’anonimato.

In caso di morte, il diritto all’anonimato della madre decade

In caso di morte della madre, non potendo più lei manifestare la propria volontà di rimanere o meno anonima e traducendosi ciò in una violazione del diritto alla vita familiare del figlio, la Corte di Appello di Catania, con il decreto del 13 gennaio 2016, ha ritenuto che il diritto all’anonimato della partoriente decade in maniera automatica nel momento della morte della stessa.

In questo modo, il figlio può esercitare il diritto fondamentale all’identità personale, in cui la conoscenza delle proprie origini biologiche riveste un ruolo non certamente marginale.

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