Inseminazione post mortem: ai confini dell’etica

Mentre in Italia ci siamo appena lasciati alle spalle una furibonda discussione sull’opportunità o meno di ricorrere alla maternità surrogata, in altre parti del mondo si è andati ben oltre. Questo è il caso dell’Australia, paese tanto libero quanto contraddittorio. Quello che è accaduto ha dell’inverosimile e ha suscitato, ovviamente, non poche polemiche. Questa la storia.

Una donna, già madre, desiderava però avere un secondo figlio, e fin qui è tutto regolare, del resto sono molte le donne che desiderano una seconda gravidanza. Quello che però è singolare è che prima di coronare questo suo sogno, il marito ha un incidente  con la moto e muore. E qui inizia l’inverosimile, ma vero. All’uomo appena deceduto da due giorni, viene prelevato dello sperma con cui viene inseminata la vedova. La donna rimane incinta e da alla luce un bambino, fortunatamente, sanissimo.

Questo è il primo caso di inseminazione post mortem con prelievo di liquido seminale da un cadavere. Ricordiamo che la fecondazione post mortem esiste già, laddove lo sperma viene congelato durante la vita del donatore. In caso di morte del donatore si parla quindi di inseminazione post mortem. Nel caso della donna australiana però si è andati ben oltre. Il fatto è accaduto circa un anno fa e non è sicuramente passato in sordina, ma oggi, con tutte le polemiche che infuriano sulle adozioni gay e sulle gravidanze surrogate, è tornato quanto mai attuale.

Anche la mamma australiana ha dovuto affrontare nono pochi impedimenti di tipo legale e burocratico, ma alla fine tutto è andato per il meglio. E in Italia? In un Paese così fortemente cattolico come il nostro una cosa del genere sarebbe stata possibile? Sicuramente no, e forse, nemmeno è il caso di domandarsi il perché. Quello che oggi si sta perdendo è il senso di un figlio, quando lo si desidera a tutti i costi, senza pensare ad altro se non a soddisfare il proprio desiderio di maternità. Ma quanto, tutto questo, è giusto?

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