Sono venuta a prenderti e per la prima volta ho pensato che avevo un disperato bisogno di te e che non fosse giusto dirtelo.

Ho cercato in quella flotta ordinata di teste e cartelle la tua coda bionda di cavallo, alta al mattino, e che puntualmente ritrovo un po’ scesa al pomeriggio. Mi sono chiesta cosa mi aspetto?

Tu da quella parte, al bordo della giornata scolastica, io ai margini della folla. Un sorriso, un bacio che mi chinerò a darti o a raccogliere. Come mi vedi dilaghi nel tuo sorriso senza rivali e per un attimo leggo in te la mia stessa impazienza.

È stata una giornata dura, una giornata come quelle pozze di melma che cammini a stento dopo grandi acquazzate. Ti prenderei e ti chiederei portami via.

Ho pensato a tutte le volte che mi reclami: per vestirti vuoi solo me, solo me per consolarti, solo me se sei offesa da un fratello, un pensiero, un torto. Solo me. E io ci sono.

Questa volta sono io a cercarti eppure so che non sarebbe giusto inondarti con un bisogno.

Ho pensato ai bisogni delle madri. Come cambiano nel tempo. E anche a come restano uguali. Mentre i figli cambiano.

Hanno bisogno di aiuto, soprattutto i primi tempi, imparare a chiedere. Hanno bisogno di coraggio, saltare nel vuoto, prendersi addosso tutta questa nuova vita, le sue fatiche e la sua meraviglia. Essere affabili e morbide, lasciarsi fare.

Hanno bisogno di sé stesse, ma non lo dicono. Forse… non lo sanno. Sentono come un prurito, una frustrazione sottile, sotto la pelle. Imparano a zittirlo. Cambiano le priorità, si adattano a piccoli spazi privati nei tempi di un sonnellino. Piccole telefonate, brevi uscite con un’amica. Hanno dimenticato le serate in palestra, il corso di acquarello, cantare a squarciagola per casa, raggomitolarsi col marito davanti a un film al cinema.

In cambio hanno un volo senza fine. Un esercito di baci piccini, un cucciolo che riempie braccia e che in un attimo azzera tutto. Ogni volta che la vita punge è come tornare in un rifugio sicuro. Non rubi niente, niente pretendi: è una grande scorta di calore, ti butti a braccia aperte, il piccolo non aspetta altro.

Mi sono abituata a tutto questo. A dare e anche a prendere, perché i primi anni non cambia nulla: tra dare e prendere. Finché ti ho vista lì fuori, e per la prima volta ho pensato che non potevo pretendere. Un bacio, un tempo insieme, un abbraccio in quel momento esatto.

I bisogni delle madri stanno sempre un passo indietro, si trattengono. Per il bene del figlio. Per proteggerlo, per assicuragli la libertà di essere, quella di volere e di non volere. Anche quando era un concerto di amabili sincronie, quel nostro cercarci e addossarci, l’una all’altra. Anche adesso che il mio bisogno è rimasto alto, forte, e tu ti scosti, crescendo. Ti prendi un bacio e poi scivoli via. 

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