Utero in affitto: madri o incubatrici?

Il tema della maternità surrogata, ovvero la possibilità di mettere il proprio utero in affitto, inizia a mostrare il suo duro, anzi durissimo, risvolto della medaglia.

Se è vero che il prezzo per affittare un utero a cui delegare la responsabilità di portare in grembo per 9 mesi una nuova vita e di darla alla luce è abbastanza caro (in America si parla di circa 30.000 dollari a gravidanza), è altrettanto caro il prezzo da pagare per le mamme in attesa.

I diritti di una madre che mette a disposizione il proprio corpo per donare la possibilità di avere un figlio a chi naturalmente non può averlo, sono ridotti al minimo.

Tra gli impedimenti previsti per legge, uno sta facendo particolarmente discutere, ovvero quello di non poter decidere della sorte dei piccoli portati in grembo.

È così che una mamma in affitto di meno di 30 anni, in attesa di 3 gemelli, due maschi e una femmina, ha ricevuto l’ordine di abortire la femminuccia per non creare possibili rischi agli altri due bambini.

La stessa sorte è toccata ad un’altra mamma, di 47 anni, anche lei in attesa di 3 bambini e anche lei obbligata a lasciarne andare uno.

Stessa situazione, stessa risposta: anche se sono solo mamme a tempo determinato, le due protagoniste delle tristi vicende hanno categoricamente rifiutato di interrompere le gravidanze a costo di venire perseguite legalmente e di vedere annullato il lauto compenso promesso.

La maternità surrogata, che in Italia è tassativamente vietata dalla legge in vigore, non smette dunque di fare discutere.

È giusto sostenere in maniera asettica due genitori sterili ed impossibilitati ad avere figli?

O al contrario, portare in grembo una nuova vita significa essere madre a tutti gli effetti e determina l’impossibilità di comportarsi come un’incubatrice meccanica ed anaffettiva?

Il dibattito è aperto.

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