Quando nasce un bimbo: tre cose necessarie

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Andavo in quello studio in centro a Milano, lei era la mia ginecologa da sempre, per anni le avevo detto: “Voglio fare un bambino, ma ho una paura tremenda della gravidanza.”

“Ma no, perché?”

E poi lo feci: quel salto verso la vita.

La vita era lì, a un passo, mi prese in braccio, e partimmo. La gravidanza fu semplice, un lungo rito scandito dai controlli, da quel giaccone che a marzo tenevo già slacciato così che la pancia si vedesse un po’. Orgoglio e miracolo.

Solo che il figlio sarebbe nato in Francia. Così quando venne al mondo scrissi alla mia dottoressa. La sua risposta la ricordo ancora: “Adesso comincia la vera avventura”.

Ci sono cose che al primo figlio, quando hai tempo e poche gelosie da gestire, non sai. Le impari. Dopo, quando hai un altro bimbo e tutto diventa più complesso. Impari a darti un margine: di errore, di fiducia, di sbaraglio. Sbaraglio fa rima con spiraglio, in fondo. Ma nessuno te l’ha detto.

Sei a un passo da quella “vera avventura” che diceva la mia dottoressa: nessuna guida o bussola potrà darti indicazioni esatte, e nessuna sarà meglio di te al tuo posto.

Ma vorrei suggerirti tre cose, tre soltanto, necessarie quando il tuo bambino nascerà.

Avere aiuti.

Ricorda sempre una cosa semplice: il vero aiuto è quello che risponde ai tuoi bisogni, non ai desideri di chi lo offre.

I miei genitori vennero a trovarci, in Francia. Cullarono mio figlio, fecero tutte quelle smorfie innamorate che si fanno. Sedettero con lui in braccio. Non è stata una scelta vincente, andare a vivere lontano proprio in quel momento: non avevo nessuno che mi desse una mano. Ma ancor meno vincente fu la mia incapacità di chiedere: la casa era da pulire, mio marito passò l’aspirapolvere. Mia madre mi guardava: “Poverino, che pulisce!”

Chiedi quello che ti serve. A me serviva un aiuto con le faccende domestiche, un pasto caldo. Due braccia per tenere mio figlio non mi erano utili: ne avevo già due io, più due mio marito: fanno quattro.

Chiedi quello che ti serve: fregatene delle aspettative degli altri. Sii chiara: può essere una spesa al supermercato, una commissione. La volta seguente invece vorrai che tengano il piccolo perché l’idea di uscire senza ti sembra un sollievo indicibile. Nulla è indicibile. Datti il permesso di chiedere.

Avere piazzole di sosta emotive.

La maternità, e soprattutto il puerperio, sono un viaggio. Come in tutti i viaggi avrai bisogno di fermate. Non è una vergogna, non è un limite. Non sei tu. Sono tutte, siamo tutte. Trova qualcuno con cui puoi crollare.

Qualcuno che può vederti col seno che gocciola, i capelli sfiniti. Ma soprattutto il cuore che gocciola, il cuore sfinito. Non spaventarti: c’è una forza soprannaturale che assiste le madri che sanno cadere. Tu trova qualcuno, che te lo ricordi.

Non avere programmi.

Lo sai qual è lo smacco di quella frase della mia dottoressa? Che aveva ragione. Finché il figlio è in pancia, e se la gravidanza è “fisiologica” – come si dice – la tua vita è come la corsa di un bambino con un enorme palloncino a cuore legato sul polso: quello vola, ma tu vai per la tua strada.

Ti immagini mille cose che farai, quando sarà nato: purtroppo, spesso, non ne farai nessuna. Ne farai altre, che non immaginavi. Pensi anche che ti basterà stare tutta racchiusa nella maternità col piccolo e non avrai bisogno di altro. Non ti basterà: pregherai per un momento di stacco, un minuto della vita di prima. La circolarità dei giorni sarà rassicurante ma anche soffocante. Non avere grandi programmi: non fare grandi progetti i primi tempi. Lasciati portare.

Sembra ingiusto, così sembra un pessimo affare: perdi indipendenza, hai bisogno di aiuti, il corpo ti molla, lo spirito a volte collasserà, e non puoi fare programmi.

È così: è tutte queste cose. Ma per qualche assurda, imperscrutabile ragione, le donne continuano a fare quella cosa folle che si chiama “figlio”. E in men che non si dica rileggerai queste righe pensando: è tutto vero. Ed è una meravigliosa avventura.


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Mi chiamo Maddalena Capra, ho tentato di convertire il mio cognome nel più affascinante Lebout sposando un francese (altrettanto affascinante) ma ho dovuto prendere miseramente atto che in Italia si utilizza sempre il cognome da nubile. Divido le giornate tra i miei 3 figli, un blog sentimentale, ironico e irriverente quanto me e altre forme di scrittura. In equilibrio precario ma felice. Credo: nei bambini, nel potere della parola, nelle gioie improvvise. La migliore cosa che mi sia mai detta da sola: “Il destino è una pagina scritta. Finché non scopri che puoi girarla. E che dietro è bianca.”

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