Quando compri il test di gravidanza

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Comprare il test di gravidanza è come provarsi un bikini in mezzo alla piazza centrale della città.

Non sai perché, in fondo non hai mica rubato. In fondo è naturale. In fondo – pensi – è un esempio esatto di quanto “naturale” non significhi affatto “innocuo”. Ce lo insegnano i funghi matti, le erbe velenose, i cobra. Così: per dire.

E allora esci. Vai verso la farmacia dopo che hai controllato su Google quante, quali e dove sono disseminate intorno a casa, ché di solito vai sempre nella stessa e mica ti fai queste giostre. Ma la “solita” è la Bocca della Verità, come quella di Roma: ti conoscono e poi ti sembra che se sei incinta devi offrire da bere. Ci tieni, a un minimo di privacy, a quella sensazione bikini, e allora cerchi un posto che non ti sembri così pubblico.

Idealmente vorresti un distributore, con Street view hai fatto su e giù per le strade virtuali e hai segnato un paio di commerci dove quelli ci sono. Peccato che quando arrivi vendano solo condom e lubrificanti. Insomma scopare si può, ma se sei incinta sono c. tuoi.

Al secondo posto della scala rischio c’è la presa diretta, cioè il test a scaffale: non è facile come prenderlo dalla macchinetta ma almeno non devi chiederlo.

Cammini. Non hai una vera fretta, tutto sommato questa crociera verso la farmacia perfetta è un po’ un viaggio sacro, vai verso la Grande Cosa. Più ti avvicini più rallenti, ma non è più per gustarti il momento: è che la paura ti si aggrappa alle gambe come un moccioso. È un po’ come un primo appuntamento.

Entri, osservi. Uno scaffale di fitoterapici, uno di antidolorifici, poi gli integratori, gli assorbenti, e finalmente i goldoni: ecco, tu dall’altra parte del totem dei preservativi ti aspetti i test di gravidanza. Perché se uno non ha comprato i primi, verosimilmente acquisterà i secondi. Invece no. Più in là antiacidi, termometri, e poi pappe per bebè, ciucci, biberon. Ma questo bebè l’avrai pur fatto in qualche modo: o no?

Non sei pronta. Vieni via. Vai alla prossima, che ti eri segnata.

Questa ha il suo distributore e hai già deciso: peccato che sia puntualmente dietro una fermata del bus, in una via centrale, dove la tua intimità nell’eventuale estrazione al lotto è circa quella che ti puoi aspettare in una Messa di Natale.

E così entri. Afferri il numerino, cominci i giri di circospezione. Perché anche comprare un test è un momento con una sua dignità, prezioso: lo vuoi prendere bellino, lo vuoi scegliere, è un po’ il primo gesto d’amore. Cominci a essere nervosa: creme, lozioni, shampoo, antidolorifici, cerotti. Cavoli, quelli che non espongono i test sono dei criminali…

Alla fine ne scorgi uno, uno solo: infilato di sbieco come un errore in mezzo a termometri e altre cianfrusaglie. O quello, o ti tocca chiedere, e pure specificare che vorresti scegliere. Già ti immagini la ragazzetta nel camice che te ne porta uno a caso, mica lo sa che è un piccolo matrimonio.

Allunghi la mano. Lo afferri. Lo tieni al petto vicino al numero del tuo turno. Arrivi in cassa e lo consegni. Acquisti un paio di altre cose come servisse ad ammortizzare. Quella faccia pulita ti guarda e ti scruta, e tu vorresti dirle: “Sì, va bene, è per me. E sì, è vero, sono vecchia. Ma va’ che te lo pago lo stesso, mica lo rubo”.

Ci fa un piccolo sacchetto di carta, lo giri due volte per chiuderlo bene.

L’hai preso. È lì dentro che ciondola sul braccio nei tuoi passi. Questa volta vai un po’ più in fretta, cominci a essere impaziente. Finalmente guadagni il portone di casa, benedici la sorte che non hai incontrato nessuno che conosci. Un cane sfrutta un tuo momento di distrazione e allunga il muso sul sacchetto: “Ehi, va’ che qui dentro c’è l’oracolo della verità, mollami”.

Tu, il sacchetto, il test come una bomba. Il cuore che è saltato fuori dalle costole. Non ti resta che scartarlo: adesso è il tuo momento.


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Mi chiamo Maddalena Capra, ho tentato di convertire il mio cognome nel più affascinante Lebout sposando un francese (altrettanto affascinante) ma ho dovuto prendere miseramente atto che in Italia si utilizza sempre il cognome da nubile. Divido le giornate tra i miei 3 figli, un blog sentimentale, ironico e irriverente quanto me e altre forme di scrittura. In equilibrio precario ma felice. Credo: nei bambini, nel potere della parola, nelle gioie improvvise. La migliore cosa che mi sia mai detta da sola: “Il destino è una pagina scritta. Finché non scopri che puoi girarla. E che dietro è bianca.”

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