Non è ‘fortuna’: è ‘famiglia’

Spero che mia madre non legga questo post.

Si è fatta un’idea, di mio marito, che le resta accozzata al grembiule come una macchia d’olio. Mentre cucina, spadella, pulisce, tiene la casa. Come ha sempre fatto.

Mio marito è un santo, un martire, un “troppo buono.” Quella specie che esula dalla normale classificazione in uomini e donne, padri e madri. Una categoria a parte. Come i disabili, i non vedenti: i “troppo buoni.”

Allora quando siamo in vacanza tutti insieme la parola che si ripete come un mantra, prodotta dalle sue labbra sapienti, è: “Poverino.”

Povero mio marito, se cuoce le zucchine. Povero mio marito, se un figlio lo chiama dal cesso e lui va a pulirlo. Povero mio marito se sta notte la Isa piangeva e lui è andato a riaddormentarla. Povero lui se porta in giro gli altri due mentre io resto con lei. Povero lui che gli fa il bagno. Povero lui che ha rinunciato al giro dei colli in bici per stare con noi. Povero ancora se si alza a sparecchiare insieme agli altri, se passa una scopa, se disegna alla figlia la principessa Sofia. Se cambia un pannolino alla piccola, se porta il grande al parco. Se li porta tutti, così io posso scrivere questo post.

Di una madre non si può dire “povera”: ha avuto tre gravidanze, allattato per cinque anni e rotti, partorito in preda a dolori inenarrabili. E, logicamente, anche se non va in ufficio tutte le mattine, da otto anni bada a tempo pieno ad almeno un figlio piccolo alla volta, se non a tutti, nei periodi (generosi) in cui ci sono le vacanze e lui lavora, o le malattie (e lui lavora).

Sono fortunatissima che lui passi l’aspirapolvere con me nei fine settimana. Fortunatissima che cuocia quelle zucchine. Fortunatissima che non mi mandi a cagare se gli chiedo una mano. E ancora più sfacciatamente fortunata che mi aiuti pure se non glielo chiedo.

Sono consapevole che al mondo ci sono ancora troppi uomini che a casa e coi figli non fanno granché, e troppe donne come mia madre che ritengono ovvio questo squilibrio. Eppure mio marito vive in questa casa come me e ha dei figli quanto me. Fa delle rinunce quanto me, come me si spacca la schiena.

Ognuno fa il suo, nella misura e al meglio che può.

Non la chiamo “fortuna”: la chiamo famiglia.

22 commenti

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  1. Sono d’accordo con ciò che hai scritto…pari rinunce,pari figli..casa di entrambi!..ma aggiungo altro mia madre è sempre stata “dalla parte ” del mio compagno sempre in sua difesa come lo è sempre stata anche con mia cognata…quindi non credo che sia una questione di “mancanza “di equilibrio ma di qualcosa di superiore…e pagherei oro per sentirla ancora prendere le loro “difese “..

  2. Hai proprio ragione, siamo ancora tanto lontani dalla parità tra i sessi e dal far capire che non è vero che quello che una donna fa per la propria famiglia è così scontato e dovuto !