Licenziate durante la maternità: l’Italia che non cambia

In questi anni, sotto il fronte lavorativo e professionale, molto è stato fatto per tutelare le donne e le mamme, ma nonostante ciò la strada per dormire sonni tranquilli è ancora lunga. A dimostrarlo è ciò che è avvenuto qualche giorno fa a Vasto dove 5 lavoratrici madri sono state licenziate durante la maternità, lasciate senza stipendio, con figli a carico appena giunti in famiglia. Per giunta il tutto è avvenuto all’interno di un asilo nido della zona, La Tana dei Cuccioli, dove l’importanza della cura e dell’allevamento dei piccoli dovrebbe essere all’ordine del giorno. A dare la notizia è stato un consigliere comunale locale che ha spiegato una situazione davvero critica nel suo complesso: le lavoratrici lasciate a casa, infatti, sono ben 22, 5 delle quali durante il regime temporale di maternità.

Alla base di questa decisione la rescissione del contratto dell’asilo da parte della cooperativa che lo gestiva che, dopo aver chiesto per alcuni mesi il sacrificio di lavorare senza stipendio, ha chiuso i battenti dando il benservito a queste donne e madri di famiglia che ora vivono una situazione di panico assoluto. Le Amministrazioni Locali hanno fatto appello al Sindaco e alla Giunta nella speranza di trovare una soluzione che possa permettere loro di essere ricollocate nel più breve tempo possibile: un’idea è quella che sia lo stesso Comune a prendere in mano la gestione temporanea del nido, dando continuità al loro lavoro e, nel medesimo tempo, cercando offerte alternative sul mercato grazie all’aiuto di investitori e aziende private.

Una situazione che tutti auspicano si sblocchi nei prossimi giorni, ma che al momento lascia sbigottiti per ciò che, al momento, rappresenta l’unica realtà dei fatti: le 5 donne che hanno gioito per la loro maternità e per una nascita tanto attesa, si sono ritrovate appiedate dal loro datore di lavoro per motivi di cattiva gestione economica e di sperpero dei ricavi. In questa occasione, come in molte altre, alla fine sono solo i cittadini a pagare, e nel 2016 ciò non è più accettabile.

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