
La Corte Suprema di Cassazione ha ribadito con la sentenza n. 475/2017 che, qualora una dipendente venga licenziata nel corso del primo anno di vita del proprio figlio, l’atto di interruzione del rapporto di lavoro è da considerarsi nullo. Il datore di lavoro, in altri termini, non può mettere fine al contratto con la lavoratrice nel periodo compreso tra la l’inizio della gravidanza e il compimento di un anno di età del bambino. Ne consegue che le donne licenziate in questo periodo della loro vita hanno il diritto:
1 – a essere reintegrate sul posto di lavoro;
2 – a ricevere tutti gli stipendi arretrati a partire dal giorno del licenziamento fino alla regolare riammissione. Talora è anche possibile che siano riconosciuti i danni determinati dalla sospensione della paga.
Corte di cassazione, vietato licenziare le neomamme
Questo obbligo per il datore di lavoro vige anche qualora egli, al momento del licenziamento, non sia a conoscenza del fatto che la propria dipendente sia in stato di gravidanza. Inoltre, anche nel caso in cui sia la stessa lavoratrice a presentare le dimissioni, avrà comunque diritto, come previsto dalla legge, a essere retribuita tramite trattamento economico sostitutivo del reddito (la cosiddetta indennità di maternità).
Il divieto di licenziamento è valido anche per le mamme che hanno adottato o hanno preso in affidamento un bambino; in questo caso il periodo di riferimento è compreso tra l’ingresso del figlio in famiglia fino a un anno da quel momento.
Quando è consentito il licenziamento della neomamma
Il divieto di licenziamento della neomamma, tuttavia, non è assoluto. Esso, infatti, è consentito dalla legge nei seguenti casi:
- la dipendente si è macchiata di una grave colpa;
- l’azienda ha cessato la propria attività;
- sono scaduti i termini previsti dal contratto a tempo determinato;
- la lavoratrice non ha superato il periodo di prova.