Schiaffi e sculacciate servono davvero?

Un tema molto scottante che continua a dividere l’opinione pubblica riguardo l’educazione parentale continua ad essere quello delle punizioni fisiche.

Uno schiaffo non ha mai fatto male a nessuno“.

Elogiate dalle generazioni precedenti come sintomo di rigore e inflessibilità da parte del genitore, e rimpiante da molti che tendono a considerare i nuovi metodi educativi come troppo permissivi, schiaffi, sculacciate e scapaccioni continuano ad essere al centro di molti dibattiti pedagogici, specialmente nel nostro Paese.

Sebbene la violenza fisica e morale conclamata nei confronti dei bambini venga esplicitamente condannata dalla legge italiana, non si può dire altrettanto riguardo quegli atti considerati di lieve entità che si presuppone possano avere qualche valenza formativa.

Cosa permette però di distinguere le due cose?

E’ possibile riconoscere realmente gli effetti che questi atti producono sulla psicologia del bambino?

Questi comportamenti sono veramente utili? Come si può ottenere un buon risultato educativo senza ricorrere a questo genere di mezzi?

Le sculacciate: cause ed effetti

Ogni bambino ha il proprio temperamento e il mestiere del genitore può rivelarsi più difficile del previsto.

Schiaffi e sculacciate sono spesso e volentieri la reazione istintiva ad una situazione che non si sta riuscendo a gestire altrimenti.

Utili ad interrompere nell’immediato l’atteggiamento che si desidera scoraggiare, non sembrano ottenere però gli effetti formativi desiderati. Al contrario , questi comportamenti tendono a compromettere seriamente il rapporto genitore – figlio, invalidando la comunicazione su cui questo si basa e producendo importanti conseguenze psicologiche sul piccolo.

Indipendentemente dalla portata fisica che possano avere, infatti, questi mezzi producono nel bambino un’umiliazione infruttuosa che rischia di compromettere seriamente la sua autostima e la fiducia nelle possibilità di dialogo con il mondo che lo circonda.

Uno schiaffo potrebbe interrompere immediatamente il comportamento errato ma non educa il bambino.

Al contrario, i bambini potrebbero interiorizzare il concetto malsano secondo il quale la violenza possa risolvere i conflitti o problemi con gli altri.

Inoltre, il risentimento e la rabbia potrebbero accumularsi ed esplodere in comportamenti aggressivi durante l’età adolescenziale e a scuola. Meglio la comunicazione franca ed onesta.

Le conseguenze sul lungo termine però possono non essere così soddisfacenti: i bambini che vengono sculacciati tendono a essere aggressivi e poco inclini al rispetto delle regole.

A sostenerlo è una ricerca condotta dall’Università del Texas e del Michigan che, per l’imponenza, merita sicuramente di essere presa in considerazione: 160.000 bambini e un arco temporale di 50 anni hanno dimostrato che i bimbi che vengono sculacciati hanno maggiori probabilità di sviluppare un comportamento anti sociale, di nutrire sentimenti di sfida nei confronti dei genitori e, nei casi limite, di sviluppare disturbi mentali e cognitivi.

Tuttavia, va anche rilevato che ci sono studi che sostengono il contrario: una ricerca del 2010, condotta dal Calvin College, aveva dimostrato che i bambini che venivano sculacciati ottenevano voti migliori a scuola e sviluppavano un atteggiamento più ottimista rispetto ai bimbi che non venivano puniti corporalmente.

Naturalmente, ognuna di noi è libera di adottare la filosofia educativa che più ritiene opportuna, ma spesso basta guardare lo sguardo dei nostri figli dopo una sculacciata per capire che dalla violenza non può che generarsi violenza.

Schiaffi e sculacciate: come evitarli

Comunicare e dare regole adeguate

Alzare le mani per punire fisicamente un figlio potrebbe attenuare lo stress del genitore ma non imprimere nessun principio etico nel figlio. Quando un bambino sbaglia, è necessario non interrompere il dialogo bensì usarlo per comprendere quali sono i motivi e individuare soluzioni migliori.

L’affetto alla base dell’educazione

Tutto ciò che un genitore dice e fa nel correggere il proprio figlio dovrebbe essere orientato sull’aiutarlo a percepire affetto e provare empatia, una qualità che lo aiuterà anche quando sarà più grande.

Questo può significare utilizzare un lessico fatto di termini che evochino immagini mentali e tocchino i sentimenti.

Condividere i propri sentimenti

Un buon rapporto col proprio figlio si basa sulla fiducia.

E questa si costruisce anche sulla condivisione dei sentimenti. Gli adulti dovrebbero aiutare i bambini a veder i conflitti o i problemi da più punti di vista inglobando anche le ripercussioni di natura sentimentale. Inoltre, aiutarli ad esprimere con le proprie parole i sentimenti e le emozioni permetterà loro di saper affrontare con i giusti modi i contrasti con gli altri.

Capire cosa ci sia dietro un comportamento

Se un comportamento sbagliato diventa abitudinario, cercare di contrastarlo con la forza non è mai un bene.

La strategia migliore è quella di capire bene cosa ci sia alla base.

Esiste un disagio emotivo? Un malessere di natura psicologica da affrontare? Esiste obiettivamente una mancata coerenza dell’applicazione delle regole da parte dei genitori? Ad esempio, dietro un comportamento ribelle potrebbe esserci un involontario cattivo esempio.

Oppure, un figlio potrebbe approfittare di un non sereno rapporto nella coppia genitoriale per far prevalere i propri capricci.

Farsi le giuste domande per mettersi in gioco

Perché mio figlio si comporta in questo modo?

È una domanda semplice ma che orienta il genitore a riflettere sulle motivazioni di un comportamento contro le regole. Forse, potrebbe celarsi dietro una richiesta di aiuto oppure una sfida nei confronti dell’autorità.

Trovare nuovi modi per dialogare col figlio cercando canali comunicativi differenti dovrebbe basare l’intero approccio educativo. L’obiettivo, infatti, è trovare il modo per instillare e far interiorizzare le regole senza ricorrere ad azioni forzate.

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