Milano: nuova terapia diagnostica per il tumore all’ovaio

Questo incredibile risultato raggiunto da un team di ricercatori dell’Istituto Tumori di Milano, in collaborazione con alcuni centri di ginecologia oncologica in tutta Italia, è un grosso passo avanti, una speranza in più per quelle donne che sono affette da un tumore dell’ovaio in stato avanzato.

Il lavoro dei ricarcatori italiani è stato pubblicato anche su Lancet Oncology.

Tumore all’ovaio: arriva la terapia attraverso la medicina di precisione

Quella che una volta veniva definita “terapia su misura” oggi viene chiamata “medicina di precisione“. La medicina di precisione vuole sfruttare la possibilità di sottoporre i pazienti a trattamenti basati sul profilo genetico dei pazienti, o del tipo di tumore da cui sono afflitti.

Il perché della ricerca sul tumore all’ovaio

Fino ad oggi una donna che riceveva una diagnosi di carcinoma ovarico in stato avanzato (fase metastasica) aveva poche possibilità di arrivare a superare i cinque anni di vita dalla diagnosi.

Per questo la scoperta di biomarcatori prognostici è molti importante, perché consentono di prevedere con maggior precisione l’andamento della malattia e di comprendere perché alcune forme di tumore siano maggiormente aggressive e abbiano più resistenza alle terapie.

Istituto Nazionale Tumori di Milano: la scoperta relativa al tumore all’ovaio

Il team di Marina Bagnoli e Silvana Canevari ha messo a punto un test chiamato MiROvaR; test che si basa sull’analisi di 35 micro – RNA.

Questo nuovo test è un successo perché, per la prima volta, dimostra la capacità prognostica e il ruolo che i micro – RNA giocano nella progressione del tumore dell’ovaio. Qualcosa che fino a poco tempo fa si poteva solo ipotizzare, oggi sta diventando uno strumento concreto a favore della lotta contro i tumori.

Il test è utile sopratutto alle donne affette da tumore all’ovaio in fase avanzata, e permette di riconoscere quali soggetti siano più a rischio di recidiva o di progressione del tumore, da quelle che hanno un rischio minore di recidiva o di progressione, e potrebbe aiutare i medici ad individuare quali pazienti andrebbero sottoposte ad un trattamento più aggressivo.

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