Bambini terminali: “Voglio tornare a casa”

La spontaneità dei bambini si mescola alla consapevolezza, a una maturità innata che stupisce l’adulto. Così capita che i bambini ricoverati all’ospedale pediatrico Bambino Gesù desiderano tornare a casa, se stanno male in un freddo letto d’ospedale lo fanno sapere ai loro genitori con sincerità.

Bambini malati terminali: il desiderio di tornare a casa

Desiderano giocare, come tutti i bambini di questo mondo, e desiderano vivere i loro ultimi attimi felici con mamma e papà. Non importa se hanno capito che la loro salute ha bisogno di cure e assistenza. Loro vogliono solo tornare a casa, anche se sanno che sono gli ultimi giorni della loro breve vita. Perché, pur se consapevoli e maturi, non hanno ben capito che andando via dall’ospedale potrebbero peggiorare o addirittura morire.

Il racconto di Corrado Cecchetti, responsabile dell’Area Rossa dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, ci racconta della richiesta di aiuto dei bambini terminali, che pur non conoscendo il termine eutanasia implorano cure e assistenza tra le mura domestiche.

Bambini terminali: il controllo della sofferenza è fondamentale

Perché «Ogni bambino anche quando non è guaribile è sempre curabile ma serve un approccio palliativo vero, un controllo della sofferenza che deve essere totale. Va gestito il dolore fisico ma anche quello psichico. I bambini a volte per non vedere la sofferenza dei genitori nascondono la propria sofferenza». Con queste parole il dottor Cecchetti ci aiuta a capire quanto i bambini abbiano da insegnare a noi adulti.

Per questo è importante trovare le soluzioni più adatte per far soffrire meno possibile i malati terminali pediatrici. «Bisogna imparare ad usare  – spiega il medico – tutte le carte possibili nei tempi giusti per arrivare in estremo alla sedazione palliativa».

Nei casi estremi quindi la soluzione è quella di evitare un’inutile sofferenza al bambino e aiutarlo con «un sonno che paradossalmente può allungare di qualche giorno la vita, anche se l’obiettivo ultimo non è questo, ma è quello di mantenere un equilibrio perfetto dove si evita l’accanimento terapeutico».

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