“Eh… poi si dimentica”: quante volte ve l’hanno detto?

Tre “ovvietà” che senza un pretesto non avrei mai ricordato:

1.      Come sono piccoli i neonati.

Quando Sarah stava per nascere, suo fratello aveva quasi due anni. Avevo scelto un ospedale un po’ lontano, poi negli ultimi giorni mi arriva la strizza da pluripara, meglio nota come: “Questa mi nasce più in fretta, e devo anche piazzare l’altro figlio” e così vado a vedere l’ospedale qui dietro. Dieci minuti di macchina se non è rush hour, se non è sabato di pioggia, se non becchi la Panda verde del vecchietto di turno. (Fu sabato, pioveva. E c’era anche la Panda). Salgo in maternità, buongiorno, volevo vedere il reparto, ecco, grazie. Una puericultrice lavava sotto il getto forte dell’acqua un pupattolo che, arricciato così, faceva al massimo una spanna. Volevo fare l’esperta, sì, sa, questo è già il secondo, no l’altro è nato in Francia, sì mi son trovata bene. Ma quelle chiappette a punta al di là del vetro della nursery mi stuzzicavano un’indomabile curiosità, e alla fine cedetti: Ma scusi… sono tutti prematuri?

“No, signora, non si ricorda più?”

Due giorni dopo tra quei culetti c’era quello di mia figlia. Rosa, minuscolo come gli altri. E non prematuro.

Lo stesso effetto si ripete quando, abituata a sollevare i tuoi figli, ti presentano il nipotino fresco di vernice caseosa: va’ che bello, amore! Tu lo prendi di slancio, e quello vola come quando dai un colpo secco alla sciarpa. Voilà!

2.      Il pianto.

Non fraintendete, ai pianti non ci si abitua né disabitua mai. Il mio di otto anni ne fa ancora uno al giorno. Logicamente per idiozie inarrivabili alla mia mente adulta. Ma il pianto dei neonati… quel timbro acuto e disperato, esile e possente… era una musica. Non sempre, ma era una musica. Era richiesta gratuita, richiamo al tuo istinto di madre. Adesso, quando ti pianta quei capricci in mezzo alle strisce pedonali o sbavando sulle piastrelle della cucina, richiama, di te, istinti ben diversi, un misto tra conservazione e omicidio. Il pianto dei bambini sta a quello dei neonati come una pianta urticante sta a un fiorellino di campo.

3.      Come facevi a star su con tre ore di sonno.

Questo è un mistero ai limiti col paranormale. Per carità, le notti variegate (o anche ripetitivamente insonni) te le ricordi, ma ti sfugge quella resilienza con cui sei sopravvissuta ad anni di assoluta violazione dei ritmi circadiani. Andavi a letto e l’unica domanda che sbrandava con te era: chissà fra quanto (poco) devo alzarmi e prenderlo. Facevi staffette continue, cadenzate da improperi sempre più grossolani, fino alla resa: tutti nel lettone. Eppure in qualche modo al mattino ti alzavi, mettevi su il caffè, e ripartivi. Senza nemmeno la prospettiva di una notte migliore. Motivazioni energetiche: zero.

Adesso ti basta un raffreddore, una chiamata notturna perché “mamma ho sete”, strisci verso il suo letto, esegui con l’ardore di una versione di latino, torni nella tua notte. E il mattino dopo sei una pezza. Con la differenza che potrai recuperare la notte seguente. Che questa puntata sfigata è il fuori programma di notti serene, di una generale igiene del sonno. Ma hai perso il colpo, girerai per le ore del giorno agonizzante: “Lasciatemi stare, che stanotte mio figlio non m’ha fatto dormire”.

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