Mi mancheranno, queste cose

Ho fatto un meme. Ho scritto: “Le notti sono lunghe… eppure gli anni scappano.”

Da qualche parte, il tempo così lento ha le mani bucate, e quel piccolo riccio morbido che mi stava tutto tra il gomito e il palmo della mano è diventato una saltatrice di divani, un’imbianchina coi pennarelli sul muro, le pietanze sulla tovaglia. Una rivendicatrice di corse, una lettrice che col dito segue pagine imparate a memoria.

Me lo dicevano: “Crescono troppo in fretta“.

Lo sapevo anche io. Mi dicevano anche: “Goditelo, goditi tutto“: l’ho fatto.

L’ho fatto anche se in certi momenti sarei andata avanti con un balzo: oltre quelle notti diradate da risvegli continui, oltre i malanni perenni, oltre i giorni che piange e sei costretta a uscire con un paio di brache da casa, i calzettoni da nonna. Pur di provare a calmarla.

L’ho fatto anche se certi giorni sono stata distratta, perché non basta saperlo, che è tutto in divenire, che poi ti mancheranno cose: non puoi fare la scorta di un lauto pranzo solo perché sai che poi sparecchieranno la tavola.

L’ho fatto, e sono arrivata a quel punto in cui molte cose perdono campo. E anche se me le sono succhiate come un nettare dolcissimo, mi mancano.

Vederti addormentare in braccio

È stato un gesto così ovvio, dal primo giorno, dalle prime ore. È stato respirare uno sull’altra, vedere che la vita si fida di me. Sentire quel piccolo corpo che si placa, si appesantisce, magari spuntano occhi stralunati, buffi sorrisi nel sonno. Ho fatto un sacco di ore così, nel letto delle notti, nel mezzo del giorno.

Allattarti

Ho avuto la fortuna di nutrirti al seno, e nutrirti era impararci. L’istinto a unirci di nuovo, ma anche la cura, sistemare le tue labbra, stringere la mammella quando il latte era troppo o troppo poco. Smettere è stato graduale e difficile, è stato ammettere lo scioglimento della nostra mescolanza.

Prenderti dal lettino

C’erano mattine che di te vedevo solo il sedere, in quella posizione che hanno tanti piccoli, sdraiati a pancia sotto, con le chiappe in su. C’erano volte che stavi rannicchiata tutta da una parte, mi avvicinavo e nemmeno ti vedevo, coperta dalla prospettiva. C’erano mattine che mi aspettavi scalpitando, drizzata su, in piedi, dall’eccitazione. Altre che piagnucolavi, e magari accorrere era una fatica che accompagnavo sbuffando. Però c’era sempre quel tuo gesto: le braccia tese verso il mio arrivo, puntate in alto.

Quelle braccia, così, sono un’esclamazione di fiducia, di desiderio e abbandono a tua madre. Sono le braccia di un’innamorata. È per quelle, che ho rimandato a lungo di spostarti in un letto dei “grandi”: dove saresti entrata e uscita da sola, le braccia intorno a un pupazzo.

Le passeggiate insieme

Non ti sei mai stufata nel passeggino. Adesso scherzo, dico che sei pigra, ma ho approfittato a lungo di questa tua inerzia. Le passeggiate sono così cresciute, negli anni: prima eri una compagna muta, dormivi e io ero sola e non sola. Ero pensieri liberi, un palloncino, però legato sempre con un filo alla tua presenza disarmante. Poi siamo state chiacchierate, sfide, luoghi che impari a conoscere. Siamo state i tuoi passi, sali e scendi dal passeggino, dai gradini in cui cominciavi a misurarti.

Siamo state commissioni e giri senza scopo.

Siamo state fughe nei momenti un po’ crespi, siamo state poesie che dicevi senza saperlo: “Il lago luccica e il sole mi chiama“.

Mi mancheranno, tutte queste cose.

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