La maternità s’impara (anche) in gravidanza

Mia figlia è talmente dentro di me che siamo ancora uno

Ho partorito il mio primo figlio in Francia. La maggior parte della gravidanza, però, l’ho fatta a Milano, seguita dalla mia ginecologa di fiducia. Tornata a casa dalla clinica le scrissi, volevo darle la notizia, nonostante i chilometri che ci separavano. Mi rispose come si conviene, “congratulazioni”, senza sbordare troppo dal suo camice. Aggiunse poche parole che nel tempo mi sono rimaste: Adesso comincia la vera avventura”.

La vera avventura.

È vero, avere un figlio tra le braccia è ben altro da un feto che guazza in grembo. La maternità è un prodigio, una sfida, un amore e una fatica che impariamo balbettando, smarrendoci e riconoscendoci, cercando, trovando. Con stupore, spesso, altre volte con grandi incertezze.

Eppure ripenso a quelle parole oggi, in piedi su un balcone, gli occhi puntati sulla mattina fresca e le montagne di questa breve vacanza. Sono preoccupata per la salute di una figlia. Vorrei tutto subito, chiarezza, risposte, soluzioni. Invece mi dico: una cosa alla volta. Un giorno, alla volta.

L’ho imparato in gravidanza, certi insegnamenti tornano fuori come odori buoni. Li hai serbati senza nemmeno saperlo. Quando l’inizio della gestazione ti faceva paura, avevi paura di perdere quel piccolo miracolo di cellule, ma non potevi altro che attendere.

L’attesa e la pazienza: superare il valico del primo trimestre, mettersi in salvo a tredici settimane, sentirsi più sicura. Aspettare l’incanto dei primi movimenti. Affrontare la stanchezza, le notti insonni. Lo stomaco difficile, le gambe gonfie. E poi: tenere dentro quel sussulto d’impazienza e paura per il parto.

La paura: ne superi una e ne arriva un’altra. Anche quando il bambino è nato, è sano, sei responsabile per quel piccolo essere, non è più una pancia, è una vita intera. È ogni gesto, ogni goccia di latte, ogni sonno e ogni pianto. Ci fluttui dentro, a questa responsabilità che così grande nessuno ne hai mai avute, nessuno te ne ha mai date.

L’ascolto: hai amato quel galoppo del cuore accanto al tuo, hai prestato attenzione a ogni variazione, ti sei sintonizzata con un piccolo estraneo che sei tu e non sei tu. Continuerai a farlo. Anche fuori dal grembo. Sarai attenta a ogni suono, ogni espressione del viso, ogni sibilo nella notte.

Il tempo: che passa e non passa, che è come tutta la vita, a ritmo col tuo tempo interiore, e poi dissonante. Con quella cadenza che hanno le cose delle madri: mezzora per infilare un paio di scarpe, e poi un minuto per vedere che spegne già la sua prima candelina. Un’ora per addormentarvi e poi un secondo che si squarcia in un bacio senza tempo.

Due e uno: la vera avventura comincia quando tuo figlio nasce. Ma voi siete cominciati molto prima. Due cuori non stanno più in un solo corpo, eppure ogni madre ha più di un cuore, più di una vita. Ognuno dei suoi figli è senza posa un pezzo così grande di sé. La calamita che accentra su di sé i pensieri, la partenza e l’arrivo dei giorni. Non ci sarà mattino senza quella vita dentro alla tua vita. Nemmeno questo, che sto in piedi su questo balcone in montagna, e penso che mia figlia è talmente dentro di me che siamo ancora uno. Il suo cuore batte ancora nel mio.

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