I bambini sono romantici

Gli altri già dormono, torno in salotto, Isabelle è stesa sul divano, guarda Hotel Transylvania, che lei chiama bla-blabla (per via del piccolo del film che pronuncia i suoi primi versetti). Mi sdraio anch’io, davanti a lei, non dietro. Mi porto le sue braccia corte intorno, come posso, paciugo le sue mani. Appoggia la testa sulla mia: “Adorabile” dichiara a chiare lettere. La sua voce è dritta nel mio orecchio, trilla come una campanella.

“Dove l’hai imparato?”
“Bla-blabla.”

Non so se abbia capito il senso, io mi inebrio. Perché i piccoli sono superalcolici, a stomaco vuoto ti fanno quella cosa lì, di toglierti la terra da sotto, capovolgerti, buttare all’aria il tuo equilibrio adulto. E in un istante sei faccia sotto, coi piedi balli nell’etere.

Prima dei nostri figli abbiamo imparato il romanticismo di mille sere a lume di candela, mazzi di rose o fiori di campo, tramonti per mano, biglietti di amori che serbiamo in grandi scatole, cartoline attese palpitanti e altre improvvise ci hanno rosato le guance, schiuso un ti amo.

Ma i bambini hanno un loro romanticismo, goffo, perdutamente tenero, disarmante.

Lo capisci da subito, da quelle notti che ficcano la loro testolina nell’incavo del tuo collo, e finalmente capisci per cosa è fatto, ed incredibilmente è proprio della loro misura. Lo capisci nelle passeggiate che ogni tanto ti devi fermare, guardare il tuo bambino perché solo lui sa e sente come senti tu, ed è come quelle passeggiate sul lungo mare con l’innamorato, anche se hai palazzi alti intorno, i clacson delle auto.

Lo capisci dopo una festa, una folla, un brusio: tornare a casa sulla vostra poltrona, essere di nuovo voi, soli, di nuovo due. Ché l’altro mondo, là fuori, è quasi una cornice.

I bambini imparano a disegnare presto, ti fanno uno scarabocchio: cos’è? Sei tu, mamma. È per te quel groviglio verde e giallo, non sai vederlo subito, eppure se ci pensi ti somiglia. Poi imparano i cuori. I cuori sono una delle prime cose che disegnano. Un po’ rotondi, oppure con una lunga punta. Sbucano dappertutto, in bagno ho tanti disegni dei miei figli, li appendo nel luogo considerato di servizio: mi ricordano la meraviglia nell’ordinario. In uno c’è un grande arcobaleno, decine di cuori piovono giù. E sembra non smettano mai.

Per lunghi mesi, quando era all’asilo, Sarah mi ha fatto un disegno. Ogni singolo giorno. Allora ci scherzi su, dove li metto, io, tutti questi fogli? Se non ce n’era uno nell’armadietto ne sfilava uno dalla tasca della giacca, piegato in quattro, in otto, come il bugiardino di un farmaco. E quei disegni curano tutte le fatiche.

I bambini sono romantici con la naturalezza di un amore senza pretese: il primo fiore che imparano ad afferrare dal prato, la prima margherita di primavera. Magari c’ha anche le radici, perché la loro forza è grossolana, maldestra. Però è per te, trotterellano finché non raggiunge la tua mano. Quante torte di didò, quanti baci e carezze sbausciati di biscotto, quanti occhi negli occhi, in quel loro sguardo attento e spudorato. Ti vedono dentro, superano ogni barriera e ti arrivano là dove non se andranno mai più. Perché lo sanno che sei un posto sicuro, gettano quell’amo e ti si ancorano nel profondo.

I bambini sono romantici perché non mentono e non filtrano. Non è qualcosa che fanno: è quello che sono.

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