Non hai un nome.

Hai solo le tue mani tenere di bambino, il tuo visetto bagnato dall’acqua del mare.

Non so come chiamarti e quindi ti chiamerò così: figlio mio.

Figlio mio non hanno avuto pietà queste onde che ti hanno inghiottito. Era buio e avevi paura. Sei rimasto a galleggiare, come una bambola abbandonata, senza il calore della tua mamma o del tuo papà.

Chissà se i tuoi occhi avranno avuto la forza di guardare ancora le stelle, chissà cosa hai pensato, prima di volartene via.

Perché i bambini, di notte, non dovrebbero stare sui gommoni, in mezzo al mare. I bambini dovrebbero stare in un letto la sera, abbracciati al pupazzo che profuma di casa.

I bambini non dovrebbero chiudere gli occhi per sempre. Dovrebbero chiuderli quel che basta per riposarsi, e poi iniziare una giornata bella e piena di cose da imparare.

I bambini non dovrebbero morire a soli, in mezzo al mare, ma vivere una vita ricca di speranza.

E invece, figlio mio, ci sono bambini come te, che scoprono cosa sia la realtà prima ancora di imparare a parlare, che non hanno mai la possibilità di sognare o di giocare.

E ci sono cose che non imparerai mai figlio mio, e nessuna mamma ti sentirà mai chiamarla.

Eppure continuiamo a mettere barriere, a creare muri, a pensare che la guerra e la fame e il dolore non ci toccheranno mai. Eppure pensiamo che i tanti bambini che nuotano con i pesci per sempre, in questo Mediterraneo fatto tomba, e le donne e gli uomini e i ragazzi, sono un danno collaterale di cui non spetta a noi Europa sostenere l’impatto.

Ora dormi, figlio mio, tra le braccia di quell’uomo che ti ha raccolto  e ha avuto la pietà di cantarti un’ ultima ninna ninna.

Dormi e sogna un paese dove i bambini hanno la possibilità di crescere e chiamare la mamma, e non restano muti, per sempre, a guardare le stelle.

6 commenti

Rispondi a Lucia E FabioCancella risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *