I benefici del portare in fascia un neonato con displasia dell’anca

Bambini con anche immature e displasia dell’anca fisiologica risultano beneficiare in modo particolare dall’essere portati in fascia ed un numero sempre più crescente di ortopedici lo considera un approccio terapeutico decisamente molto adeguato.

La displasia dell’anca del neonato

Si parla di displasia dell’anca del neonato quando la testa del femore non riesce ad inserirsi correttamente nel suo acetabolo in quanto non ancora adeguatamente formato.

Tale displasia può verificarsi per diversi fattori genetici quali la familiarità, nascita prematura, nascita podalica e anomalie dello scheletro, ma può anche essere influenzata dal modo in cui si tiene il neonato. Infatti, un acetabolo predisposto può venir danneggiato meccanicamente dalla posizione delle gambe troppo dritte, questo perché tale posizione produce una pressione non fisiologica sui diversi punti dell’acetabolo fino all’impedimento di un normale e corretto sviluppo dello stesso.

Se una displasia non viene corretta in tempo possono sorgere seri problemi che rendono a volte necessario un intervento chirurgico. Nel peggiore dei casi, infatti, può presentarsi una vera e propria lussazione dell’anca del neonato con impossibilità a camminare. Fortunatamente le lussazioni sono ormai molto rare.

Ad oggi viene eseguito uno specifico controllo nelle prime settimane di vita del neonato, attraverso l’apposita manovra di Ortolani, dove si va ad appurare la tipologia dell’anca del neonato, che si divide in:

  • Tipo I: anca normale.
  • Tipo IIa: anca immatura fisiologica, acetabolo sufficientemente stabile. Tipologia risolvibile attraverso l’uso di un pannolino rigido e/o divaricatore.
  • Tipo IIIc: acetabolo troppo piatto, angolo < 50°, instabile. In tal caso dovrebbe essere applicata un’apposita ingessatura.

Le tipologie III, D, IV invece sono anche lussate che necessitano un apposito intervento chirurgico.

Perché scegliere di portare in fascia in caso di displasia?

Il dottor Andreas Krieg, ortopedico dell’ospedale di Basilea, afferma che portare in modo corretto con la fascia lunga bambini con anche di tipologia IIa possa avere un effetto decisamente terapeutico. Nelle tipologie in cui sia stato necessario l’utilizzo di un divaricatore o di un gesso, invece, il bambino può essere portato insieme al divaricatore o al gesso, adeguando la tecnica per aumentare il comfort di chi porta.

Anche il medico ortopedico Ewald Fetteweis sostiene che si possano avere notevoli benefici utilizzando in modo corretto ed appropriato la fascia lunga, in modo che garantisca la posizione corretta delle ginocchia del bambino, sempre più alta rispetto al sedere. Infatti, la muscolatura dei glutei del piccolo viene facilmente contratta nella posizione all’interno della fascia, facendo si che la testa del femore venga premuta con maggior forza nel suo acetabolo e favorendo così l’ossificazione delle parti ancora cartilaginose.

La scelta del “contatto”

La possibilità di portare in fascia il piccolo anche nel caso di displasia, permette alla mamma di non perdersi il preziosissimo contatto con il suo bambino nei primi mesi di vita.

Tale accorgimento, inoltre, può facilitare notevolmente il metodo di trasporto del bambino, il quale non sempre può risultare agevole con i metodi di correzione utilizzati in caso di displasia dell’anca, e permettere alla mamma di beneficiare di quella sensazione di unicità ed affinità esclusiva che solo avendo il proprio piccolo a stretto contatto è possibile avvalersi.

Insomma, una sorta di meraviglioso percorso post-parto per accompagnare dolcemente il bambino dal ventre materno alla scoperta del mondo intero.

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